mercoledì 26 settembre 2012

RADAR - Enrique Moya Gonzalez




Grazie Enrique!
Nuovo logo, per nuove direzioni.
Un cerchio aperto che custodisce all'interno un nucleo in crescita.
Come un abbraccio, come uno di quegli anelli che si possono allargare o stringere.

Enrique Moya Gonzalez parla a raffica con un tono educato e gentile.
A volte la sua voce ha delle impennate nel volume e si ha l'impressione che perda il filo del discorso. Forse lo perde davvero, ma per scendere in profondità alla ricerca di significati, immagini e intenzioni.
Ed è nell'intenzione delle sue opere che si coglie una rivoluzione che pare in contrasto con la delicatezza dell'atmosfera. Pensieri di guerra, scrive lui stesso.
Il contrasto è nell'incontro tra la soavità del segno e le tecniche usate.
Le opere di Enrique vanno verso l'alto come il suo sguardo, quando cerca le parole per spiegare.
Le figure, i corpi nudi sembrano ascendere, carichi di simboli appartenenti alla storia e alla memoria. Piccoli oggetti inseriti come reperti archeleogici, come reliquie sconsacrate e riconsacrate per sconfiggere la crisi, come dice lui stesso, per ricostruire, attraverso la comprensione del passato, un presente e un futuro dove la cultura possa essere una forza concreta.
Enrique non parla degli artisti e delle scelte da intraprendere. Parla delle persone e del contesto nel quale vivono. Arezzo come città, ma anche possibile fucina di opere e iniziative.
L'ingenuità che si avverte è solo apparente.
Le sue immagini si trasferiscono attraverso la sua mano con un'appassionata delicatezza.
Dietro s'annidano pensieri densi, riflessioni continue, filosofiche peripezie che puntano a una serie di soluzioni e idee concrete.

Enrique Moya Gonzalez è un artista.
Tiene presso Spazio Seme un corso di disegno creativo per bambini e da anni dirige RADAR/SCUOLA/DISEGNO/NUDO/AREZZO.





mercoledì 5 settembre 2012

SPAZIO SEME - MEN A(R)T WORK



SPAZIO SEMEMEN a(r)t WORK

Mi è sempre piaciuto intendere il teatro come un'arte di ricerca legata più al suo significato originario di celebrazione e di rito collettivo piuttosto che alla sola dimensione atta a creare spettacoli e intrattenimento.
Di conseguenza osservare, imitare, interpretare il riso e il pianto come condizioni simboliche, estremi opposti della manifestazione della vita degli uomini.
Condizioni buffe quanto tragiche.
La rappresentazione di esse è un'occasione che interessa la memoria.
Dal 17 settembre ripartono i corsi di teatro.

Fare teatro è fare azioni.
Riprodurre contesti e significati. Con il corpo e l'anima.
Per questo motivo teatro è una parolona e si avverte un qualcosa di ampio quando la si pronuncia.
Azioni, narrazioni, sensazioni, impressioni e proiezioni si mescolano nel meccanismo teatrale e generano movimento, cambiamento, obbligo di scelta.
Recitare non è mentire.
Ed è in quel crinale che è emozionante procedere la ricerca.
Lo specchio delle umane azioni nel tempo e nello spazio.

SPAZIO SEME è aperto.
Sia per i lavori di ristrutturazione che per le collaborazioni intraprese.
Il movimento produce benessere. E viceversa.
L'arte è nel procedere un passo alla volta.

Foto: Sofia Sguerri

lunedì 3 settembre 2012

IL SERVO DI BYRON - FRANCO BUFFONI




IL SERVO DI BYRON
Franco Buffoni – Fazi Editore

Non è difficile identificarsi in William Fletcher servo fedele e amante di George Gordon Byron.
La lucidità e il valore della sua vita in relazione all'opera del celebre poeta inglese sono decisamente “romantici” e toccanti, all'interno della narrazione di Franco Buffoni.
I viaggi, gli incontri, i profumi, lo sguardo del poeta che scruta l'orizzonte pervaso d'amore e ispirazione, ma anche la persecuzione, i rischi, le malattie e i tradimenti.
Una vita insieme, nella buona e nella cattiva sorte.
Non è difficile identificarsi in Fletcher, soprattutto per chi ha avuto il privilegio di incorrere nella complessità dei rapporti amorosi, di vederne l'affascinante mutevolezza e l'agghiacciante deformità in rapporto all'epoca, alla società, ad una morale tutt'oggi soltanto pericolosa.
Se poi si aggiunge che solo Fletcher è il testimone diretto della produzione letteraria, si avverte l'emozione del privilegio e dell'esclusività tipica di ogni rapporto profondo.

“Perché io le Memoirs del mio padrone le ho lette tutte, parola per parola: mi pento solo di non averle ricopiate di nascosto, salvandole dal massacro. Sono rimasti solo i miei ricordi. Capaci di narrare i fatti, ma ahimé non di restituire lo stile di my Lord. E in letteratura, si sa, lo stile è tutto.”

Lo stile di Franco Buffoni illumina di bellezza e inneggia alla giustizia.
Il romanzo-saggio è davvero “un esercizio critico di metastoria” dove citazioni e azioni si fondono per narrare le avventure di Byron e Fletcher, ma anche per denunciare là dove l'amore venga impedito, giudicato, punito.
Nella quarta una speranza, un'altra azione di resistenza da parte di Franco, prestigioso protagonista della cultura contemporanea e sempre in prima fila nella lotta ai diritti.

“Non so quando, ma sono convinto che verrà il giorno in cui a Piccadilly due ragazzi potranno camminare tenendosi per mano. Sarà allora la vittoria di Byron e di Matthews, del tamburino White e del tenente Hepburn, degli impiccati di Vere Street e, se permettete, un po' anche la mia.”