IL SERVO DI BYRON
Franco Buffoni – Fazi Editore
Non è difficile identificarsi in
William Fletcher servo fedele e amante di George Gordon Byron.
La lucidità e il valore della sua vita
in relazione all'opera del celebre poeta inglese sono decisamente
“romantici” e toccanti, all'interno della narrazione di Franco Buffoni.
I viaggi, gli incontri, i profumi, lo
sguardo del poeta che scruta l'orizzonte pervaso d'amore e
ispirazione, ma anche la persecuzione, i rischi, le malattie e i
tradimenti.
Una vita insieme, nella buona e nella
cattiva sorte.
Non è difficile identificarsi in
Fletcher, soprattutto per chi ha avuto il privilegio di incorrere
nella complessità dei rapporti amorosi, di vederne l'affascinante
mutevolezza e l'agghiacciante deformità in rapporto all'epoca, alla
società, ad una morale tutt'oggi soltanto pericolosa.
Se poi si aggiunge che solo Fletcher è
il testimone diretto della produzione letteraria, si avverte
l'emozione del privilegio e dell'esclusività tipica di ogni rapporto
profondo.
“Perché io le Memoirs del mio
padrone le ho lette tutte, parola per parola: mi pento solo di non
averle ricopiate di nascosto, salvandole dal massacro. Sono rimasti
solo i miei ricordi. Capaci di narrare i fatti, ma ahimé non di
restituire lo stile di my Lord. E in letteratura, si sa, lo stile è
tutto.”
Lo stile di Franco Buffoni illumina di
bellezza e inneggia alla giustizia.
Il romanzo-saggio è davvero “un
esercizio critico di metastoria” dove citazioni e azioni si fondono
per narrare le avventure di Byron e Fletcher, ma anche per denunciare
là dove l'amore venga impedito, giudicato, punito.
Nella quarta una speranza, un'altra
azione di resistenza da parte di Franco, prestigioso protagonista
della cultura contemporanea e sempre in prima fila nella lotta ai
diritti.
“Non so quando, ma sono convinto che
verrà il giorno in cui a Piccadilly due ragazzi potranno camminare
tenendosi per mano. Sarà allora la vittoria di Byron e di Matthews,
del tamburino White e del tenente Hepburn, degli impiccati di Vere
Street e, se permettete, un po' anche la mia.”