mercoledì 12 dicembre 2012

IL CORPO DECIDE



DISEGNO DI Laura Serafini
LA GUARDIA DEL CORPO - FINE

La storia raccontata nello spettacolo LA GUARDIA DEL CORPO si risolve nell'ultima frase.
Ed è quell'ultima che ne rappresenta la tragedia.
Una storia come tante quella di (Daniela) e, proprio per questo, da raccontare.

Maurizio, Marino ed Elena commettono un reato. Lo sanno, ci soffrono, ma il corpo non sente ragioni. Il corpo si muove, si arresta, implode e rilascia ciò che non è mai riuscito a dire.
Maurizio, Marino ed Elena sono gli amici di Daniela e si muovono sulla scena evocando e imitando (Daniela) e la sua scelta.
L'illusione dolorosa di un sogno ad occhi aperti.
Un mondo nascosto che si specchia nei ricordi e nel gioco dello scambio di identità.
E' per non aggiungere altro strazio che gli amici di Daniela ne occultano la memoria.
Se le azioni degli esseri umani servono a capirne altre, l'ingenuità regna sovrana.

Lo spettacolo LA GUARDIA DEL CORPO non è la messa in scena del racconto omonimo.
Molti personaggi non compaiono e il fulcro è il corpo e il suo sentire. Un sentire mutevole, confuso e spietato.
Del testo originale ne è rimasto soltanto qualche passaggio. Il resto è stato riscritto in una nuova partitura che scandisse un ritmo narrativo insieme ai frammenti d'azione e le coreografie.
Le parole, le azioni, la danza, sono fuori sincrono.
Come la percezione di Daniela e dei suoi amici.
La mia voce cerca di trattenere eccessi di complicità, quella di Luca Scarlini taglia le frasi e sorvola qualsiasi traccia di romantico moralismo.

Il corpo decide e si ricompone.
La storia di (Daniela) è come tante altre.
Di corsa e di nascosto.

La GUARDIA DEL CORPO

con Francesco Botti, Leonardo Lambruschini, Verònica Zapata Alcocer.
Voci narranti a cura di Francesco Botti e Luca Scarlini

Venerdì 14 dicembre ore 21,15
Sabato 15 dicembre ore 19,00
Una produzione SEME s.n.c.

presso Spazio Seme
via del Pantano 36, Arezzo

mercoledì 28 novembre 2012

IL CORPO NON MENTE


LA GUARDIA DEL CORPO - SVOLGIMENTO

Il corpo non mente mai.
Ed è nella sua stessa lucidità che decide.
Il cuore smania di fronte alle proprie visioni.

Ci sarebbe da chiedersi perché Daniela abbia deciso di ascendere al cielo.
Per amore? Strana parola in questo contesto.
Per dolore? E' ovvio.

C'è il sospetto di un segreto svelamento, un intima consapevolezza impossibile da sostenere.
Il corpo non ce la fa, non si riconosce, scappa verso il cielo.
Nel regno degli spiriti si resta appesi.
Chissà se almeno i ricordi sopravvivono in quell'eterna sospensione.

Rimane il coraggio di Maurizio e dei suoi amici.
Resta la loro confusione accordata perfettamente con il regno dei vivi dove la memoria cancellata cerca di risparmiare altro inutile dolore.

Continuano le prove di allestimento dello spettacolo LA GUARDIA DEL CORPO.
Il debutto è previsto per il 14 dicembre presso lo SPAZIO SEME in prima serata.
Movimenti, scatti del corpo su un tappeto narrativo a due voci.
Insieme a me, Leonardo e Veronica, la voce di Luca Scarlini.

lunedì 12 novembre 2012

NON PASSARE PER IL SANGUE


NON PASSARE PER IL SANGUE


Eduardo Savarese ha scritto un bel libro. Selezionato al Premio Calvino 2010 con il titolo L'amore assente è stato pubblicato da Edizioni e/o con il titolo Non passare per il sangue.
Eduardo è uno scrittore, un magistrato e un insegnante di scrittura.
Non passare per il sangue è una storia tutta italiana.
Afghanistan, omosessualità, segreti di famiglia.
Argomenti talmente ampi da dover essere necessariamente conciati. Come si fa con la carne selvatica per renderla commestibile per un pubblico talvolta ghiotto, talvolta sofisticato.
Il succo del romanzo è l'amore. O meglio, la lotta per la comprensione e la metabolizzazione di quello che la carne umana fa succedere e la legittimazione di tutte le sfumature che ne conseguono.
Un'impresa che sembrerebbe non facile, che potrebbe aprire e non chiudere temi e riflessioni, ma l'abilità di Eduardo Savarese sta nella misura e nella sobrietà che induce a una commozione dignitosa e consapevole.
La nonna Agar, le sue asprezze. Gli occhi accesi di Marcello. Il tormento virile di Luca.
Mamme, figli, padri sepolti nella memoria come soldati poco fortunati.
Nessuna condanna, nessuna assoluzione.
Si parla di sangue come luogo dove scorrono le emozioni e i dolori. Sangue e carne come vincoli familiari, obbedienti a leggi ancestrali dure a morire. I ricordi, immanenti nella vita dei protagonisti sono gli agenti che scavano, ricercano e fanno affiorare la verità squarciando la precaria certezza della realtà.
Non passare per il sangue inizia in un denso impasto di avvenimenti e sospetti che si sciolgono con una disarmante eleganza. Colori, odori, accenni storici solamente funzionali all'immersione totale all'interno dell'animo umano, nell'intento di narrare di quanto certi sconvolgimenti esistenziali siano occasioni di rinnovata lucidità e coraggio.

In copertina l'immagine di un papavero simbolo della consolazione, ma anche della semplicità.

lunedì 5 novembre 2012

DANZA BUTOH



La campana del tempio tace,
ma il suono continua
a uscire dai fiori.

Matsuo Basho (1644 – 1694)

Il butoh è stata ed è tuttora una rivoluzione.
Essendo una danza difficilmente descrivibile dal punto di vista formale e tecnico, obbliga nella sua originalità a una tensione e a un approccio alla scena dal punto di vista esperienziale oltre che espressivo.

Bu (danzare con eleganza) toh (calpestare, battere con il piede).
Dialogo fra parte superiore e inferiore del corpo, tra mani e piedi.

Per alcuni si tratta di teatro, per altri di danza. Chi sottolinea la provenienza dalle antiche arti giapponesi e chi ne esalta le assonanze con la Ausdrucktanz, danza espressionista tedesca degli anni cinquanta, periodo di nascita e sviluppo della stessa danza butoh. Fu al ritorno dagli studi in Germania che Kazuo Ohno e Tatsumi Hijikata, fondarono le proprie scuole in Giappone.
Fu la rottura con gli schemi.
La lentezza, la nudità, un'insita, elegante, talvolta grottesca protesta verso le regole imposte.
Non solo contrapposizione e contrasto con l'estetismo della danza tradizionale occidentale, ma esplosione muta ed evoluzione del pensiero collettivo, se davvero la danza “vive all'interno di tutto ciò che vive”.
Mostrare la verità del corpo, attraverso il richiamo ai miti arcaici e spezzando le linee con la provocazione di “movimenti mai visti prima”.

Ma insomma cos'è il Butoh?

Esistenza, legame del corpo con la terra e le origini.
Improvvisazione, tensione muscolare e corporea, uso del vuoto e del ritmo.
Decostruzione, scoperta, metamorfosi.

DANZA BUTOH allo SPAZIO SEME.

SABATO 17 e DOMENICA 18 NOVEMBRE 2012

mercoledì 26 settembre 2012

RADAR - Enrique Moya Gonzalez




Grazie Enrique!
Nuovo logo, per nuove direzioni.
Un cerchio aperto che custodisce all'interno un nucleo in crescita.
Come un abbraccio, come uno di quegli anelli che si possono allargare o stringere.

Enrique Moya Gonzalez parla a raffica con un tono educato e gentile.
A volte la sua voce ha delle impennate nel volume e si ha l'impressione che perda il filo del discorso. Forse lo perde davvero, ma per scendere in profondità alla ricerca di significati, immagini e intenzioni.
Ed è nell'intenzione delle sue opere che si coglie una rivoluzione che pare in contrasto con la delicatezza dell'atmosfera. Pensieri di guerra, scrive lui stesso.
Il contrasto è nell'incontro tra la soavità del segno e le tecniche usate.
Le opere di Enrique vanno verso l'alto come il suo sguardo, quando cerca le parole per spiegare.
Le figure, i corpi nudi sembrano ascendere, carichi di simboli appartenenti alla storia e alla memoria. Piccoli oggetti inseriti come reperti archeleogici, come reliquie sconsacrate e riconsacrate per sconfiggere la crisi, come dice lui stesso, per ricostruire, attraverso la comprensione del passato, un presente e un futuro dove la cultura possa essere una forza concreta.
Enrique non parla degli artisti e delle scelte da intraprendere. Parla delle persone e del contesto nel quale vivono. Arezzo come città, ma anche possibile fucina di opere e iniziative.
L'ingenuità che si avverte è solo apparente.
Le sue immagini si trasferiscono attraverso la sua mano con un'appassionata delicatezza.
Dietro s'annidano pensieri densi, riflessioni continue, filosofiche peripezie che puntano a una serie di soluzioni e idee concrete.

Enrique Moya Gonzalez è un artista.
Tiene presso Spazio Seme un corso di disegno creativo per bambini e da anni dirige RADAR/SCUOLA/DISEGNO/NUDO/AREZZO.





mercoledì 5 settembre 2012

SPAZIO SEME - MEN A(R)T WORK



SPAZIO SEMEMEN a(r)t WORK

Mi è sempre piaciuto intendere il teatro come un'arte di ricerca legata più al suo significato originario di celebrazione e di rito collettivo piuttosto che alla sola dimensione atta a creare spettacoli e intrattenimento.
Di conseguenza osservare, imitare, interpretare il riso e il pianto come condizioni simboliche, estremi opposti della manifestazione della vita degli uomini.
Condizioni buffe quanto tragiche.
La rappresentazione di esse è un'occasione che interessa la memoria.
Dal 17 settembre ripartono i corsi di teatro.

Fare teatro è fare azioni.
Riprodurre contesti e significati. Con il corpo e l'anima.
Per questo motivo teatro è una parolona e si avverte un qualcosa di ampio quando la si pronuncia.
Azioni, narrazioni, sensazioni, impressioni e proiezioni si mescolano nel meccanismo teatrale e generano movimento, cambiamento, obbligo di scelta.
Recitare non è mentire.
Ed è in quel crinale che è emozionante procedere la ricerca.
Lo specchio delle umane azioni nel tempo e nello spazio.

SPAZIO SEME è aperto.
Sia per i lavori di ristrutturazione che per le collaborazioni intraprese.
Il movimento produce benessere. E viceversa.
L'arte è nel procedere un passo alla volta.

Foto: Sofia Sguerri

lunedì 3 settembre 2012

IL SERVO DI BYRON - FRANCO BUFFONI




IL SERVO DI BYRON
Franco Buffoni – Fazi Editore

Non è difficile identificarsi in William Fletcher servo fedele e amante di George Gordon Byron.
La lucidità e il valore della sua vita in relazione all'opera del celebre poeta inglese sono decisamente “romantici” e toccanti, all'interno della narrazione di Franco Buffoni.
I viaggi, gli incontri, i profumi, lo sguardo del poeta che scruta l'orizzonte pervaso d'amore e ispirazione, ma anche la persecuzione, i rischi, le malattie e i tradimenti.
Una vita insieme, nella buona e nella cattiva sorte.
Non è difficile identificarsi in Fletcher, soprattutto per chi ha avuto il privilegio di incorrere nella complessità dei rapporti amorosi, di vederne l'affascinante mutevolezza e l'agghiacciante deformità in rapporto all'epoca, alla società, ad una morale tutt'oggi soltanto pericolosa.
Se poi si aggiunge che solo Fletcher è il testimone diretto della produzione letteraria, si avverte l'emozione del privilegio e dell'esclusività tipica di ogni rapporto profondo.

“Perché io le Memoirs del mio padrone le ho lette tutte, parola per parola: mi pento solo di non averle ricopiate di nascosto, salvandole dal massacro. Sono rimasti solo i miei ricordi. Capaci di narrare i fatti, ma ahimé non di restituire lo stile di my Lord. E in letteratura, si sa, lo stile è tutto.”

Lo stile di Franco Buffoni illumina di bellezza e inneggia alla giustizia.
Il romanzo-saggio è davvero “un esercizio critico di metastoria” dove citazioni e azioni si fondono per narrare le avventure di Byron e Fletcher, ma anche per denunciare là dove l'amore venga impedito, giudicato, punito.
Nella quarta una speranza, un'altra azione di resistenza da parte di Franco, prestigioso protagonista della cultura contemporanea e sempre in prima fila nella lotta ai diritti.

“Non so quando, ma sono convinto che verrà il giorno in cui a Piccadilly due ragazzi potranno camminare tenendosi per mano. Sarà allora la vittoria di Byron e di Matthews, del tamburino White e del tenente Hepburn, degli impiccati di Vere Street e, se permettete, un po' anche la mia.”


venerdì 27 luglio 2012

FABRICA




FABRICA
Mostra personale di Roberto Dragoni
30 giugno – 12 agosto 2012
Palazzo Chianini Vincenzi - Arezzo


Roberto Dragoni entra in profondità.
Lo si vede dall'occhio della sua MUCCA.
Distesa su un fianco guarda dritto di fronte.
Non c'è bisogno di nessuna definizione per comprendere cosa voglia suggerire.
Intorno altre tele, tecniche miste, ritraggono fabbriche, turbine, macchine grigie disposte in fila all'interno di capannoni. Su di loro ogni tanto una specie di vento che deforma i contorni, che soffia e sfalda la realtà tra il passato e i suoi prodotti e un futuro con le sue incertezze.

Ho avuto il privilegio di vedere la mostra FABRICA da solo.
Lo so che non è una bella cosa da dire perché mette in risalto quanto le mostre d'arte siano poco frequentate, pure in questo caso dove si tratta di un artista affermato in Italia e all'estero, ma vivere l'esperienza nel silenzio e nel fresco della sale del Palazzo Chianini Vincenzi è stato stupefacente.
L'accoglienza dei PUGILI all'ingresso, non poteva che colpirmi.
Le creste iliache sopra i pantaloncini e i pensieri rivolti alle loro fidanzate. Sempre la dolcezza dietro ogni scatto di nervi, affetto e tepore accanto a ogni reazione viscerale.
Di seguito un viaggio scuro, grigio, tra fabbriche, animali e ritratti.
Nelle sale di lavoro s'immagina lo stridio doloroso del metallo e l'urlo della sirena per il cambio di turno. Il vento passa anche lì dentro, invade le forme, le sfoca.
La tragedia di Fukushima e la dignità dei suoi abitanti.
La resistenza dei lavoratori della nostra Italia e la loro paura.

Gli animali e gli uomini stanno e sanno, nei loro ricordi eterni.
Sospesi, testimoni di un tempo che sembra immobile, ma dietro macina e vende tentativi di soluzione per sbagli e illusioni umane.
C'è stato un ritratto che più di tutti mi ha inchiodato.
Il titolo in due iniziali. Non le ricordo.
E' il volto di un ragazzo. Occhi e bocca socchiusi.
Mi sono avvicinato.
Pareva che respirasse.

Grazie, Roberto!
Nello sguardo della tua MUCCA c'è l'abisso. Ed è nitido.
E l'abisso spesso, nelle storie umane, pare essere l'unico passaggio per raggiungere di nuovo la luce.


giovedì 12 luglio 2012

CONTACT WAVE




CONTACT WAVE
12-15 luglio 2012

Da oggi parte Arezzo Wave Love Festival 2012 e si inaugura una nuova sezione: Contact Wave.
Accanto a Danza Wave, a cura di Sosta Palmizi, anche SPAZIOSEME partecipa alla manifestazione ospitando e curando tre laboratori.
Contact Improvisation, Danza Afro-Brasiliana e Percussioni.

Il contatto. Il peso. La dinamica del movimento in relazione alla gravità.
Dalla mattina alla sera il corpo si muove, reagisce, cerca un equilibrio.
Attraverso i muscoli e i nervi passano le storie. Soprattutto in tempi dove occorre forza e resistenza.
L'apertura al dialogo delle culture arricchisce gli incontri e le possibilità.

Venuti da tutta Italia, persino dalla Grecia, danzatori e appassionati, seguono le lezioni Carlos Uhjama (Brasile), Bruno Caverna (Brasile), Leonardo Lambruschini, (Italia) Sara Parisi (Italia), Patinho Axé (Brasile) e Paolo Caruso (Italia).

Contact Wave è anche una performance che unisce la danza al canto, l'azione e la parola.
"La fragilità dichiarata è un punto di forza" abbiamo detto l'8 luglio 2012 in occasione dell'iniziativa MICROPISCIN(...)RCHEOLOGICA.
Contact Wave proseguirà la sua ricerca fino a divenire uno spettacolo.
Di seguito un estratto del video.

http://www.spazioseme.com/performance-contact-wave-video/


LA GUARDIA DEL CORPO - INIZIO




LA GUARDIA DEL CORPO - INIZIO

MICROPISCIN(...)RCHEOLOGICA
7 Luglio 2012

La Guardia del Corpo è ispirato ad una storia vera.
Me la raccontarono anni fa e mi è ritornata in mente nella stesura della raccolta e nei temi delle vicende “di corsa e di nascosto.”
Lo spettacolo non è la celebrazione di Daniela e la sua scelta. Nasce dalla certezza che solo i rapporti umani possano rappresentare la chiave di svolta per la risoluzione dell'esistenza.
Identità e corpo, ma soprattutto l'urgenza come “prova del nove” per il rispetto dell'intimità e della libertà di amare.
La Guardia del Corpo viola l'intimità pur cercando di fare il contrario. E nel suo tentativo cerca di rendere la tragedia meno dolorosa e più eroica.
Chi resiste lo fa spesso di nascosto, aspetta il momento giusto, conta i minuti ma è capace di aspettare decenni.
Raccontare tragedie in tempi tragici, in questo caso, è meglio che ridere provando a dimenticare.
Perché dimenticare confonde e fa morire più alla svelta.

Il lavoro procede nell'interazione tra narrazione e danza, con particolare riferimento alla contact improvisation. Voce e movimento. Tutti sono tutti.
Insieme a me, i protagonisti del progetto sono: Leonardo Lambruschini, Claudia Schnurer ed Eleonora Ciampelli.

giovedì 7 giugno 2012

PIANO PIANO ALLO SCOPERTO

(Giornata internazionale contro l'omofobia 17 maggio 2012)



L'omofobia è un problema per chi la prova. Tutti compresi.
Eterosessuali non informati e omosessuali ancora troppo rabbiosi.
L'omofobia è uno smarrimento che porta a una insulsa disperazione, alla creazione di branchi atti a difendere loro stessi, in nome della collettività, da una diversità inconcepibile che per loro continua a resistere nel tempo.
L'omofobia è noiosa, come alcune reazioni umane del tutto inutili. Quando poi si passa alla violenza verbale o alla tolleranza si sconfina nel disagio mentale. E conviverci è dura.

Non basta la storia a tranquillizzare quelli che per esistere e avere il sollievo di confermarsi “normali”, devono specchiarsi sulle azioni altrui. Ed evidentemente non bastano nemmeno le azioni coordinate per la conquista di quelli che vengono definiti diritti, ma che di fatto sono intime condizioni di esistenza.
L'omofobia disturba l'intimità.
Verrebbe da pensare che è meglio non parlarne, non dare nemmeno la soddisfazione di informazioni che vengano recepite come giustificazioni.
Eppure più del pudore e dell'intimità conta la dignità e la memoria di chi ha sempre preso posizione e ha fatto azioni concrete.
“Siamo nel 2012! Ma lei crede davvero che ancora ci sia tutto questo astio nei confronti della diversità?” mi è stato chiesto da una signora gentile a una presentazione. Nei suoi occhi un misto di compassione materna e l'effetto degli ansiolitici.
“Sono felice al pensiero che prossimamente negli Stati Uniti verrano istituite scuole speciali per omosessuali” replica l'attivista, circondato dalla cerchia di quelli che hanno ancora troppa paura di essere picchiati.

Oltre al coraggio serve la lucidità. Perché se non bastano le legittime proteste verso la negazione della libertà, se non basta il dolore chi quelli che sono costretti a guardarsi intorno con il timore di essere dileggiati oppure semplicemente schedati di fronte alla società, allora vuol dire che la paura è ancora troppo dilagante.
Il problema è la paura, “assenza d'amore”, diceva Einstein.
E la paura parte dall'apnea, da uno sforzo interno che nella sua congestione rischia di strappare ogni volta pezzetti di carne. La paura fa male e ha un effetto contagioso.
La leggerezza può essere un decongestionante per la paura e un componente utile per la lucidità.

Leggero, lucido e coraggioso è Claudio Finelli. Presentatomi da Franco Buffoni nel dicembre del 2011 mi propose un paio di presentazioni a Salerno e a Napoli. Oltre a tutte le persone che ho ringraziato nel libro, mi sento di citare proprio Claudio. Accanto a lui il carissimo Luciano, amico e collega negli allestimenti teatrali ai quali da anni insieme si dedicano.
Niente formalismi, subito al sodo. Intesa immediata. Parlare, confrontarsi, quello che si fa al sud rispetto al nord. Claudio risponde a raffica, sa quello che dice. Iniziative, campagne di sensibilizzazione all'interno delle scuole, “non è possibile che ancora si debba spiegare che l'effeminatezza non c'entra con l'orientamento.”
Bere, parlare, ridere. Tante persone accorse alle presentazioni. Domande, attenzione, i diritti civili, ma anche l'amore per la narrazione e la poesia. Nella seconda serata pure una sceneggiata nel bel mezzo dell'Hotel Chiaja. Vedi Napoli e rinasci, altro che discorsi...
La spontaneità come salvezza.
Grazie Claudio!

lunedì 23 gennaio 2012

SPAZIOSEME

QUELLO CHE DICE IL CORPO

I ragazzi si muovono nello spazio.
Hanno dai venti ai cinquant'anni.
Un coro.
Procedono in avanti per otto passi, girano e tornano indietro.
Stesso accento, stesso ritmo.
Sono compatti, sono insieme, tutti nella stessa linea.
Cercano nella ripetizione della camminata un corpo altro, una centratura che dia forza e stabilità e tenda alla bellezza. Una bellezza intesa come presenza, come potenza.
Con lo sguardo aperto avanzano fissando un punto di fronte a sé, ci si aggrappano per un equilibrio che dai passi salga agli occhi, li illumini.
Camminano avanti e indietro da quasi cinque minuti, ma tra gli altri che seduti osservano, pronti a ripetere l'esercizio nella sessione successiva, nessuno è stanco di guardarli.
E' la percezione del tempo che definisce spettacolo la visione di un'azione.
La camminata produce un'ipnosi piacevole per lo spettatore, lo culla attraverso il rumore unico prodotto da una decina di piedi di un coro che procede, una falange non armata presa a perpetuare la sua marcia come unica azione da approfondire, come percorso che propizi attraverso la concentrazione una narrazione generata direttamente dal corpo, senza concetto o movente di rappresentazione.
Se attore significa “metter in moto”, “far andare azioni”, “operare”, “porre in azione”, soltanto il camminare, come azione consapevole, può sottintendere innumerevoli luoghi, tempi e narrazioni.
All'improvviso uno dei ragazzi rallenta, si ferma, si blocca e ascolta un nuovo movimento che si fa largo nel proprio incedere, lo accoglie, lo fa nascere rompendo lo schema del coro. Il corpo prende a raccontare trasformando lo spazio in una condizione favorevole all'espressione e si fa amplificatore di potenza e bellezza.
Tutti gli altri continuano a camminare perché solo la resistenza nel procedere è la base per ogni variazione. Soltanto se il resto del coro tiene in vita l'avanzata con precisione la variazione risulta visibile ed esalta il contorno.
Ogni componente troverà spazio e motivazione per far nascere la propria variazione. In piedi, a terra, rallentando il ritmo o sviluppando movimenti nati dal camminare e divenuti racconto in tempo reale.
Come tutte le storie da raccontare, c'è un inizio, uno svolgimento e una fine.
Dopo l'esplosione di variazioni, lo stop.
I ragazzi capiscono da dentro quando è tempo di terminare. Non hanno bisogno di guardarsi, né di mettersi d'accordo con le parole. Sono i loro corpi che sanno quando l'azione ha fine, quando la storia è stata raccontata e indipendentemente dal finale, ha raggiunto il suo compimento.
Alla fine i corpi sono immobili, come all'inizio.
Nella sala suona un silenzio che sospende l'aria, da la vertigine dell'altalena di tutti quei passi che hanno raccontato un tempo, marcato azioni e liberato umori, significati, sogni.
I ragazzi che hanno osservato assaporano il silenzio come carburante, accendono i loro sensi per vivere di lì a poco quello che hanno visto.
Sanno che solo insieme, ascoltandosi, potranno essere potenti, immensi.
Sanno quello che dice il corpo.
Si accingono a ricercarlo ogni volta, con lo stupore della prima volta.

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