FABRICA
Mostra personale di Roberto Dragoni
30 giugno – 12 agosto 2012
Palazzo Chianini Vincenzi - Arezzo
Roberto Dragoni entra in profondità.
Lo si vede dall'occhio della sua MUCCA.
Distesa su un fianco guarda dritto di
fronte.
Non c'è bisogno di nessuna definizione
per comprendere cosa voglia suggerire.
Intorno altre tele, tecniche miste,
ritraggono fabbriche, turbine, macchine grigie disposte in fila
all'interno di capannoni. Su di loro ogni tanto una specie di vento
che deforma i contorni, che soffia e sfalda la realtà tra il passato
e i suoi prodotti e un futuro con le sue incertezze.
Ho avuto il privilegio di vedere la
mostra FABRICA da solo.
Lo so che non è una bella cosa da dire
perché mette in risalto quanto le mostre d'arte siano poco
frequentate, pure in questo caso dove si tratta di un artista
affermato in Italia e all'estero, ma vivere l'esperienza nel silenzio
e nel fresco della sale del Palazzo Chianini Vincenzi è stato
stupefacente.
L'accoglienza dei PUGILI all'ingresso,
non poteva che colpirmi.
Le creste iliache sopra i pantaloncini
e i pensieri rivolti alle loro fidanzate. Sempre la dolcezza dietro
ogni scatto di nervi, affetto e tepore accanto a ogni reazione
viscerale.
Di seguito un viaggio scuro, grigio,
tra fabbriche, animali e ritratti.
Nelle sale di lavoro s'immagina lo
stridio doloroso del metallo e l'urlo della sirena per il cambio di
turno. Il vento passa anche lì dentro, invade le forme, le sfoca.
La tragedia di Fukushima e la dignità
dei suoi abitanti.
La resistenza dei lavoratori della
nostra Italia e la loro paura.
Gli animali e gli uomini stanno e
sanno, nei loro ricordi eterni.
Sospesi, testimoni di un tempo che
sembra immobile, ma dietro macina e vende tentativi di soluzione per
sbagli e illusioni umane.
C'è stato un ritratto che più di
tutti mi ha inchiodato.
Il titolo in due iniziali. Non le
ricordo.
E' il volto di un ragazzo. Occhi e
bocca socchiusi.
Mi sono avvicinato.
Pareva che respirasse.
Grazie, Roberto!
Nello sguardo della tua MUCCA c'è
l'abisso. Ed è nitido.
E l'abisso spesso, nelle storie umane,
pare essere l'unico passaggio per raggiungere di nuovo la luce.